La Jihad in Sud America
nuovo incubo per gli
Usa

 

L’asse Caracas-Teheran favorisce l’alleanza tra narcos e Al Qaeda. Allarme per le tracce di Hezbollah in Venezuela

 

INVIATO A WASHINGTON L’alleanza fra il cartello dei narcotrafficanti e gli estremisti islamici rischia di avere effetti disastrosi». L’ammiraglio James Stravridis è il capo del comando militare Sud delle forze armate Usa, responsabile dello scacchiere che va dai confini con il Messico allo Stretto di Magellano, e sceglie la platea di esperti del Centro di studi strategici e internazionali (Csis) per illustrare l’entità di una «grave e crescente minaccia per la sicurezza nazionale».

Ecco di cosa si tratta: «L’arrivo di attori estranei al Continente, come l’Iran, ci fa temere che il narcoterrorismo possa sostenere lo sviluppo del radicalismo islamico». Se il primo allarme del Pentagono in materia risale al 2004, il 2007 ha segnato un’escalation di penetrazione islamica in America Latina che in gran parte ruota attorno alle relazioni privilegiate fra Teheran e Caracas. Il pericolo viene dalla convergenza di interessi fra i narcos e i terroristi islamici che, ripetendo un modello di alleanza già operativo in Afghanistan, possono dare vita a una rete capace tanto di autoalimentarsi quanto di mettere a segno devastanti attentati contro il comune nemico americano.

Sono i memo di intelligence occidentali che circolano a Washington a completare l’analisi di Stavridis: lo scorso ottobre l’ambasciata Usa in Venezuela è stata presa di mira da due bombe carta e vicino ad una di questa vi erano volantini che inneggiavano agli Hezbollah; nella penisola di Guajira gruppi di islamici con i simboli di Hezbollah si sono infiltrati ai confini con la Colombia nel territorio dell’antica tribù Wayuu professando «lotta ai corrotti e all’industria del sesso» con l’obiettivo di «cambiare il Venezuela»; l’aeroporto di Caracas è divenuto un porto franco per gli estremisti islamici grazie al fatto che il recente accordo sulla libera circolazione delle persone siglato con Teheran consente a chi è in arrivo dall’Iran di non dover più avere un visto di entrata; dal 2002 al 2005 la polizia del Venezuela ha detenuto senza motivo il giornalista dissidente iraniano Manuchehr Honarmand, oggi esule in Olanda.

Alla platea del Csis l’ammiraglio Stavridis mostra le foto dei ripetuti incontri del presidente iraniano Mahmud Ahmadinejad con il collega venezuelano Hugo Chavez spiegando che «Teheran ha trovato un’alleato importante e punta ad aprire proprie ambasciate in ogni Paese dell’America Latina» per consolidare la propria presenza. Proprio Chavez ha chiesto al leader boliviano Evo Morales di allacciare in fretta relazioni diplomatiche con la Repubblica Islamica. E l’Ecuador potrebbe seguire.

Un ulteriore segnale delle mire iraniane è venuto con l’annuncio di Mahdi Mostafavi, direttore dell’Organizzazione per la cultura islamica a Teheran, di voler «coordinare tutte le attività nella regione» con il contributo dei rappresentati iraniani nelle singole capitali. Washington teme che sia la genesi di un network di estremisti islamici capace di facilitare anche infiltrazioni da parte di gruppi come Al Qaeda. «L’America Latina sta diventando una terra di aperta competizione strategica fra noi e l’estremismo islamico - aggiunge l’ammiraglio Usa - e dobbiamo batterci per dimostrare che le nostre idee sono migliori e danno buoni risultati, dal capitalismo al libero commercio, dai diritti umani e democrazia e libertà».

Le ambiguità di Chavez sull’integralismo islamico sono all’origine della scelta del Dipartimento di Stato di dichiarare il Venezuela «Paese non pienamente cooperativo» nella lotta al terrorismo, una definizione che lo avvicina - ma ancora non equipara - agli Stati «sponsor del terrore» come Siria e Iran. L’ultimo rapporto sul terrorismo internazionale pubblicato da Washington punta l’indice sulla questione dei documenti di identità venezuelani: «Sono facili da ottenere, trasformano il Venezuela in un attraente luogo di transito per terroristi, le autorità internazionali sospettano dell’integrità di tali documenti e di come vengono rilasciati». Come dire: c’è il dubbio che sia proprio il governo di Chavez a consentire agli estremisti di avere documenti adatti per circolare in libertà in America Latina.

L’allarme è tale che Silvestre Reyes, deputato democratico del Texas nonché presidente della commissione Intelligence della Camera, ha ammonito sul rischio che «miliziani Hezbollah con passaporti sudamericani si presentino ai nostri confini con il Messico confondendosi fra i molti turisti ispanici». Reyes ritiene che oltre al Venezuela l’altro tallone d’Achille del continente sia l’area geografica delle «Tre frontiere» al confine fra Brasile, Argentina e Paraguay dove vivono circa 25 mila arabi: è la stessa area da dove forse partirono i kamikaze che misero a segno gli attentati che nel 1992 e 1994 distrussero a Buenos Aires prima l’ambasciata israeliana e poi il centro ebraico «Amia» causando oltre cento vittime. Per l’attacco del 1994 l’Interpol ha spiccato ordini di estradizione verso l’Argentina del super-terrorista Imad Mugnyeh e di cinque iraniani, incluso l’ex ministro dell’intelligence Ali Fallahian.